Myles Kennedy è diventato noto in tutto il mondo con il gruppo degli Alter Bridge, conquistando poi una fama forse ancora maggiore prestando la sua ugola all'istrionico Slash. La sua voce è inconfondibile, in grado di raggiungere punte decisamente acute, ma senza mai perdere la grazia e le caratteristiche che la rendono riconoscibile. I trascorsi dell'americano lasciano trasparire una carriera improntata all'Hard Rock e al Metal, ma nelle sue vene scorre anche un animo tipico del suo Paese d'origine: quello Rock e Blues.
Proprio questa è l'idea di "Year of the Tiger", un progetto solista volto a far sfogare il lato musicale più "tranquillo" dell'artista. Il tutto viene eseguito in una cornice molto introspettiva che si ripercuote in pieno sulle melodie create. Il disco è infatti un concept album, incentrato sulla vita dello stesso cantante.
Per capire come suona questo album, una buona idea è quella di guardare la copertina: un'immagine minimal, uno sfondo nero con il buon Myles che imbraccia una chitarra. Viste le sonorità Blues, con un occhio che strizza alle ambientazioni Country, quello sfondo nero personalmente lo riempirei con un paesaggio di campagna, magari una infinita prateria tipica degli Stati Uniti, con Kennedy che suona il suo strumento seduto all'ombra di un vecchio portico.
Il primo pezzo, "Year of the Tiger", ha nelle sue parti di chitarra una venatura in realtà vagamente orientale, e proprio per questo risulta uno dei brani più riconoscibili di tutto il lavoro. I suoni sono caldi e il cantautore è perfettamente a suo agio nella situazione. Parlando di riconoscibilità, possiamo dire che sia proprio questo il punto forte del disco. Già, perché negli album che tendono sorpattutto all'acustico, il rischio è che tutte le canzoni si assomiglino un po', finendo con l'annoiare l'ascoltatore. In questo caso però il problema non sussiste, a dimostrazione della freschezza e della spontaneità delle composizioni.
I pezzi sono infatti tutti perfettamente riconoscibili e diversi rimangono in testa facilmente: da "The Great Beyond" a "Devil on the Wall", da "Ghost of Shangri La", fino a "Haunted by Design", in un viaggio che porta da composizioni più ritmate ad altre più introverse.
Certo, non stiamo parlando di un lavoro che cambierà la vostra vita e non si tratta dell'opera più rivoluzionaria mai vista. Siamo semplicemente di fronte a un Blues/Rock dannatamente ben scritto ed eseguito, che vi proietterà negli Stati Uniti senza dover prendere l'aereo. L'ideale nel caso in cui abbiate voglia di qualcosa di un po' più tranquillo - ma di qualità - per spezzare un attimo dagli amati dischi di puro metallo.
VOTO: 7/10
Proprio questa è l'idea di "Year of the Tiger", un progetto solista volto a far sfogare il lato musicale più "tranquillo" dell'artista. Il tutto viene eseguito in una cornice molto introspettiva che si ripercuote in pieno sulle melodie create. Il disco è infatti un concept album, incentrato sulla vita dello stesso cantante.
Per capire come suona questo album, una buona idea è quella di guardare la copertina: un'immagine minimal, uno sfondo nero con il buon Myles che imbraccia una chitarra. Viste le sonorità Blues, con un occhio che strizza alle ambientazioni Country, quello sfondo nero personalmente lo riempirei con un paesaggio di campagna, magari una infinita prateria tipica degli Stati Uniti, con Kennedy che suona il suo strumento seduto all'ombra di un vecchio portico.
Il primo pezzo, "Year of the Tiger", ha nelle sue parti di chitarra una venatura in realtà vagamente orientale, e proprio per questo risulta uno dei brani più riconoscibili di tutto il lavoro. I suoni sono caldi e il cantautore è perfettamente a suo agio nella situazione. Parlando di riconoscibilità, possiamo dire che sia proprio questo il punto forte del disco. Già, perché negli album che tendono sorpattutto all'acustico, il rischio è che tutte le canzoni si assomiglino un po', finendo con l'annoiare l'ascoltatore. In questo caso però il problema non sussiste, a dimostrazione della freschezza e della spontaneità delle composizioni.
I pezzi sono infatti tutti perfettamente riconoscibili e diversi rimangono in testa facilmente: da "The Great Beyond" a "Devil on the Wall", da "Ghost of Shangri La", fino a "Haunted by Design", in un viaggio che porta da composizioni più ritmate ad altre più introverse.
Certo, non stiamo parlando di un lavoro che cambierà la vostra vita e non si tratta dell'opera più rivoluzionaria mai vista. Siamo semplicemente di fronte a un Blues/Rock dannatamente ben scritto ed eseguito, che vi proietterà negli Stati Uniti senza dover prendere l'aereo. L'ideale nel caso in cui abbiate voglia di qualcosa di un po' più tranquillo - ma di qualità - per spezzare un attimo dagli amati dischi di puro metallo.
VOTO: 7/10
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