Dopo aver
recensito i Judas Priest, mi trovo fra le mani il lavoro di un altro gruppo che
ha scritto la storia dell’Heavy Metal: i tedeschi Accept. La prima cosa che mi
viene da segnalare è che il quintetto si presenta sul mercato con una delle
copertine più belle degli ultimi tempi: un toro infuriato ci punta in modo
minaccioso, sollevando un polverone di un rosso acceso. Decisamente riuscita, e
decisamente adatta al titolo “Blind Rage”. Come nel caso dei già citati Priest,
anche in questa occasione scrivo quando l’album in questione ha già raggiunto
importanti posizioni in classifica, con addirittura il primo posto in Germania
e Finlandia e il secondo in Ungheria.
Ascoltando la musica composta si può solamente dire che i piazzamenti nelle charts sono meritati. Nonostante il titolo però, a farla da padrone non è né la rabbia né l’aggressività, fatta esclusione forse per la terremotante opener “Stampede”, che arriva decisamente dritta al sodo. Per il resto però, l’album si dimostra molto caldo e avvolgente, basato su melodie riuscitissime e ricercate. La struttura delle canzoni è semplice, ma sorretta da cori imponenti che potrebbero arrivare direttamente da una nave pirata impegnata a solcare il mar dei Caraibi. Le chitarre alternano riff agressivi a parti dolci che accompagnano la graffiante voce di Mark Tornillo, che si dimostra decisamente in forma.
Prendono così forma in maniera estremamente naturale – caratteristica tipica delle band con molta esperienza alle spalle – pezzi incredibilmente validi, come “Dying Breed”, “Dark Side Of My Heart”, “Trail Of Tears”, “200 Years” o “From The Ashes We Rise”. Quasi tutti questi titoli hanno dei punti in comune, sia nella struttura che nell’ambiente creato, eppure suonano tutti diversi. L’intensità emotiva è notevole e i brividi in alcuni punti sono assicurati. I brani non sono eccessivamente veloci o rabbiosi, ma cadenzati, rocciosi e dannatamente coerenti. Se non fosse per un paio di passaggi meno convinenti (“Wanna Be Free”, “Bloodbath Mastermind” e “The Curse”) saremmo di fronte ad un autentico capolavoro.
Ascoltando la musica composta si può solamente dire che i piazzamenti nelle charts sono meritati. Nonostante il titolo però, a farla da padrone non è né la rabbia né l’aggressività, fatta esclusione forse per la terremotante opener “Stampede”, che arriva decisamente dritta al sodo. Per il resto però, l’album si dimostra molto caldo e avvolgente, basato su melodie riuscitissime e ricercate. La struttura delle canzoni è semplice, ma sorretta da cori imponenti che potrebbero arrivare direttamente da una nave pirata impegnata a solcare il mar dei Caraibi. Le chitarre alternano riff agressivi a parti dolci che accompagnano la graffiante voce di Mark Tornillo, che si dimostra decisamente in forma.
Prendono così forma in maniera estremamente naturale – caratteristica tipica delle band con molta esperienza alle spalle – pezzi incredibilmente validi, come “Dying Breed”, “Dark Side Of My Heart”, “Trail Of Tears”, “200 Years” o “From The Ashes We Rise”. Quasi tutti questi titoli hanno dei punti in comune, sia nella struttura che nell’ambiente creato, eppure suonano tutti diversi. L’intensità emotiva è notevole e i brividi in alcuni punti sono assicurati. I brani non sono eccessivamente veloci o rabbiosi, ma cadenzati, rocciosi e dannatamente coerenti. Se non fosse per un paio di passaggi meno convinenti (“Wanna Be Free”, “Bloodbath Mastermind” e “The Curse”) saremmo di fronte ad un autentico capolavoro.
VOTO: 8/10
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