Reduci da
un album scialbo come “To The Metal” e
da un incendio che ha raso al suolo il loro studio di registrazione di Amburgo,
I Gamma Ray tornano a farsi sentire con “Empire Of The Undead”, e la storica
formazione capitanata da Kai Hansen - che dal vivo non ha mai perso il suo
smalto - sembra tornata sulla strada compositiva giusta.
Particolarmente convincente la prima parte dell’album. Il brano di apertura
stranamente non è un missile a piena velocità, ma un profondo, lungo e
complesso pezzo di altissima qualità intitolato “Avalon”, sicuramente fra le
migliori composizioni di questo nuovo lavoro. Segue la roboante “Hellbent”, che
nonostante palesi richiami ai Judas Priest risulta divertente e gradevole. Si
rimane ad alte velocità con “Pale Rider” (tamarrissimo il chorus “burn
motherfucker time to feel the flame”), mentre la seguenete “Born To Fly”,
seppur carina, risulta piuttosto banale, specialmente nel ritornello. Le
successive e validissime “Master of Confusion” e “Empire Of The Undead” erano
già note grazie ad un EP pubblicato lo scorso anno, e non fanno che rafforzare
il lavoro dei nostri. Il buon Kai si dimostra tra l’altro particolarmente in
forma, con un uso martellante dei suoi mitici e sgraziati acuti.
A questo punto l’album ha però improvvisamente un calo, con tre brani uno in
fila all’altro che si potevano anche evitare. La ballata “Time For Deliverance”
sembra un miscuglio di brani lenti già sentiti in passato, la pesante “Demonseed”
manca semplicemente di originalità e “Seven”
sfiora lo scandaloso, suonando come una copia di “Master of Confusion” (!) con
il ritornello che potrebbe essere stato composto dagli Iron Maiden (qualcuno ha
detto “Rainmaker”?).
Probabilmente l’originalità non è mai stato il punto forte dei Gamma Ray, ma
per fortuna nel finale la situazione migliora con due autentiche perle che
sanno di puro ossigeno. “I Will Return” è una canzone ritmata con un ritornello
aperto che fa letteralmente sognare e venir voglia di cantare. “Built A World”
(che tra l’altro è solamente la bonus track europea, scelta quasi
incomprensibile) non è assolutamente da meno, e anzi fa concorrenza ad “Avalon”
come miglior canzone dell’album. Sicuramente si scolpirà nelle vostre menti in
un istante.
Nonostante momenti di calo e qualche sensazione di déjà vu, l’album è fresco e pieno di energia, con brani creati
apposta per essere suonati a tutto volume dal vivo.
VOTO: 7/10
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