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Gods Of Metal, Day 1, 21.06.2012


I telegiornali parlavano di caldo record, di una giornata da bollino rosso in cui si sarebbe potuti uscire solo se strettamente necessario. Ovviamente noi in questa situazione non potevamo che recarci al Gods Of Metal, che quest’anno si svolge all’arena di Rho, che in pratica consiste in un enorme posteggio asfaltato! Pronti a morire di caldo, siamo sorprendentemente stati accolti da una bella nuvoletta e da una leggera pioggerellina, che ha reso la serata molto gradevole. Al nostro arrivo rimaniamo tuttavia stupidi dalla scarsità di pubblico presente: il PIT, nel quale ci recheremo, è pieno solo a metà, e nelle file dietro il pubblico fatica ad arrivare all’altezza del Mixer. Poco male, perché lo spazio per muoversi sarà tanto, e i concerti si vedranno alla perfezione. 

Children Of Bodom
Per motivi lavorativi sono potuto arrivare a Milano solo in serata, ed esco quindi dalla fermata della metropolitana mentre i Children Of Bodom hanno da pochissimo cominciato la loro esibizione. Da lontano percepisco i suoni della tastiera che tesse le famose melodie del gruppo finlandese. Fiondatomi sotto il palco, grazie al braccialetto che consente l’accesso alle prime file, sono travolto da un volume ai limiti della sopportazione umana, da far davvero male alle orecchie. Da anni seguo i concerti, ma questa volta i volumi spropositati mi impediscono di seguire l’esibizione come si dovrebbe. Inoltre, i bassi sono talmente in primo piano da muovere letteralmente gli organi interni dei presenti. I bambini di Bodom sfoderano come sempre la loro grande tecnica, ma come spesso accade durante i loro concerti si dimostrano distaccati e quasi insofferenti nei confronti del pubblico. Alexi addirittura durante alcuni assoli si siede sulla scenografie e parlotta amabilmente con gli altri membri del gruppo, come se si trovasse al bar sotto casa pronto a giocare a briscola.
I brani suonati sono i soliti, d
a “Hate me!” a “Silent Night Bodom Night”, da “Needled 24/7” a “Are You Dead Yet”, e francamente non si può dire che la band non abbia fatto il proprio dovere, ma io rimango poco convinto.

Manowar
Dopo una decina d’anni d’assenza, tornano in terra italica i Manowar, una delle band più amate e odiate del pianeta, che fa del “true” heavy metal il proprio marchio di fabbrica. Il quartetto si presenta sul palco in maniera grintosa, con l’opener “Manowar”, che fa subito partire i cori dei gasatissimi presenti. Nelle scene di delirio collettivo sorridiamo vedendo un padre che salta con il suo figlioletto, in preda all’esaltazione.
Il gruppo statunitense non ha alcuna intenzione di fare prigionieri, e nella prima ora di concerto praticamente non si ferma mai per prendere fiato, eseguendo una canzone dietro l’altra. I suoni sono piuttosto puliti e nonostante l’abbondante cinquantina la voce di Eric Adams tiene ancora bene, e acuti e urli vengono dispensati a pioggia sul pubblico.
La differenza con la band che li ha preceduti è imbarazzante, sia dal punto di vista del coinvolgimento della folla che dall’attitudine del gruppo stesso: il contatto con i presenti è continuo, con sguardi, gesti e incitamenti a cantare in coro i ritornelli. I brani continuano imperterriti e gli astanti vengono travolti da “Fighting the World” e “Kings Of Metal”, tanto per citare alcune fra le più riuscite.
Non poteva poi mancare il classico siparietto, nel quale un membro del pubblico viene fatto salire sul palco per suonare la chitarra. In questo caso si tratta di un certo Stefano da Brescia, davvero giovanissimo, che prima di poter suonare la sei corde riceve una breve lezione sul come bere birra da parte di Joey DeMaio:  i risultati non sono grandiosi, ma il bassista consola il ragazzo, ricordandogli che ha molto tempo per fare esperienza. Detto ciò il nostro amico si lancia nell’esecuzione di “The Gods Made Heavy Metal”, ottenendo alla fine in regalo la chitarra.
In questa fase il gruppo "riposa" un po’, e lascia che DeMaio delizi i fans con un discorso in un italiano quantomeno curioso, in cui se la prende con i “bastardos” che minacciano il gruppo, perché “è difficile essere un vero Manowar”. Non manca nemmeno una dedica al compianto Scott Columbus.
Il concerto torna poi ad essere roboante, con “Hail and Kill” e una “Warriors Of The World” da pelle d’oca. Il nostro caro Eric ci propone il “Nessun Dorma”, e lo show termina con “Black Wind, Fire and Steel”, sigillandone il successo: il pubblico è in estasi,  e spera di non dove attendere altri dieci anni per rivedere i quattro newyorkesi. 






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