Le trincee, il fango nelle cupe giornate di pioggia, il sangue, ma anche speranza e gesta eroiche. I Sabaton, con i loro metallici racconti, questa volta ci portano in un periodo storico ben preciso, quello della feroce Prima Guerra Mondiale.
Il racconto che gli svedesi riescono a creare per descrivere questi eventi è come sempre epico e coinvolgente e ancora una volta i musicisti di Falun si dimostrano i migliori insegnanti di storia che possano esistere: dopo l'ascolto di un loro album, semplicemente viene voglia di leggere un libro che parli dei fatti narrati.
"The Great War" adatta chiaramente la musica all'ambiente che doveva vigere in questo buio conflitto, caratterizzato da fronti immobili e soldati stremati. I suoni sono quindi un po' più oscuri e le canzoni più profonde rispetto al predecessore "The Last Stand", che raccontando di grandi imprese al limite dell'inverosimile risultava più positivo e leggero, quasi festaiolo.
Proprio per questa sua drammaticità - che si ritrova tra l'altro anche nella tetra copertina - il nuovo disco raggiunge però vette narrative e compositive superiori, con il buon Joakim Brodén dietro al microfono che a volte si lancia in tonalità più basse rispetto al solito.
Ad onor del vero l'album inizia però in modo bizzarro, con il brano "The Future of Warfare" che è probabilmente il meno riuscito di tutto il lavoro, semplicemente non particolarmente originale. Le cose migliorano un po' con "Seven Pillars of Wisdom", ma è dalla magnifica "82nd All the Way" - che narra l'incredibile vicenda di Alvin York - che le cose letteralmente decollano, senza più scendere di livello.
Ed è così che si arriva ad esempio all'imponente "The Attack of the Dead Men" e il suo stupefacente attacco di uomini che si credevano morti dopo un attacco effettuato con gas velenosi, con un coro di voci maschili che domina la situazione nel ritornello, rendendolo semplicemente indimenticabile. Potremmo poi parlare dell'adrenalinica e agile "Red Baron", che come si evince dal nome parla delle leggendarie vicende del barone rosso e delle sue vittorie nei cieli europei.
Estremamente epica ed evocativa è invece "Great War", che si sofferma più in generale sulle sofferenze provocate dalla Prima Guerra Mondiale. Spettacolare anche il racconto delle eroiche imprese di Francis Pegahmagabow, abilissimo ricognitore e cecchino, nella canzone "A Ghost in the Trenches".
Non aggiungerò altri titoli per non diventare prolisso, ma veramente ogni brano presente meriterebbe di essere spiegato e raccontato in un testo a parte. Mi limito a citare la chiusura, affidata semplicemente ad un coro che canta il famoso poema "In Flanders Fields" dello scrittore/soldato John McCrae, morto proprio nella Grande Guerra. Un giusto momento di raccoglimento per ricordare le vittime di questo tremendo conflitto.
Un album completo quindi, che riesce a toccare tutto lo spettro delle emozioni, raccontando eventi catastrofici ma anche grandi gesta che rimarranno nella storia. E non è quindi un caso che le vendite stiano dando ragione a questi svedesi, con storici primi posti nelle classifiche di Svizzera, Germania e della stessa Svezia.
VOTO: 8/10
Il racconto che gli svedesi riescono a creare per descrivere questi eventi è come sempre epico e coinvolgente e ancora una volta i musicisti di Falun si dimostrano i migliori insegnanti di storia che possano esistere: dopo l'ascolto di un loro album, semplicemente viene voglia di leggere un libro che parli dei fatti narrati.
"The Great War" adatta chiaramente la musica all'ambiente che doveva vigere in questo buio conflitto, caratterizzato da fronti immobili e soldati stremati. I suoni sono quindi un po' più oscuri e le canzoni più profonde rispetto al predecessore "The Last Stand", che raccontando di grandi imprese al limite dell'inverosimile risultava più positivo e leggero, quasi festaiolo.
Proprio per questa sua drammaticità - che si ritrova tra l'altro anche nella tetra copertina - il nuovo disco raggiunge però vette narrative e compositive superiori, con il buon Joakim Brodén dietro al microfono che a volte si lancia in tonalità più basse rispetto al solito.
Ad onor del vero l'album inizia però in modo bizzarro, con il brano "The Future of Warfare" che è probabilmente il meno riuscito di tutto il lavoro, semplicemente non particolarmente originale. Le cose migliorano un po' con "Seven Pillars of Wisdom", ma è dalla magnifica "82nd All the Way" - che narra l'incredibile vicenda di Alvin York - che le cose letteralmente decollano, senza più scendere di livello.
Ed è così che si arriva ad esempio all'imponente "The Attack of the Dead Men" e il suo stupefacente attacco di uomini che si credevano morti dopo un attacco effettuato con gas velenosi, con un coro di voci maschili che domina la situazione nel ritornello, rendendolo semplicemente indimenticabile. Potremmo poi parlare dell'adrenalinica e agile "Red Baron", che come si evince dal nome parla delle leggendarie vicende del barone rosso e delle sue vittorie nei cieli europei.
Estremamente epica ed evocativa è invece "Great War", che si sofferma più in generale sulle sofferenze provocate dalla Prima Guerra Mondiale. Spettacolare anche il racconto delle eroiche imprese di Francis Pegahmagabow, abilissimo ricognitore e cecchino, nella canzone "A Ghost in the Trenches".
Non aggiungerò altri titoli per non diventare prolisso, ma veramente ogni brano presente meriterebbe di essere spiegato e raccontato in un testo a parte. Mi limito a citare la chiusura, affidata semplicemente ad un coro che canta il famoso poema "In Flanders Fields" dello scrittore/soldato John McCrae, morto proprio nella Grande Guerra. Un giusto momento di raccoglimento per ricordare le vittime di questo tremendo conflitto.
Un album completo quindi, che riesce a toccare tutto lo spettro delle emozioni, raccontando eventi catastrofici ma anche grandi gesta che rimarranno nella storia. E non è quindi un caso che le vendite stiano dando ragione a questi svedesi, con storici primi posti nelle classifiche di Svizzera, Germania e della stessa Svezia.
VOTO: 8/10
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