Vedere il concerto di uno dei chitarristi più spettacolari e iconici del pianeta è già un evento piuttosto emozionante, ma lo diventa ancora di più se lo si può fare sulle rive del Lago Lemano, in una cittadina chiamata Montreux, tanto lontana dalla musica Rock nel suo aspetto elegante e borghese, quanto storica proprio per tutto il genere, anche solo per aver fatto da cornice a un pezzo storico come "Smoke on the Water". Il tutto, ovviamente, all'interno del mitico Jazz Festival, che propone concerti in ogni angolo, un mare festante di persone e decine e decine di bancarelle per ogni gusto e palato. Ma la nostra meta non è una passeggiata sul lungolago, ma il bellissimo Auditorio Stravinski.
Rival Sons
Per aprire le danze del suo concerto Slash ha trovato un gruppo di tutto rispetto e già con un discreto seguito: i Rival Sons. I quattro ragazzi di Long Beach, con il loro Rock dalle forti influenze Blues e distorsioni di chitarra come se piovessero, riescono a scaldare il composto pubblico del Festival. Il quartetto riceve una generosa ora e un quarto a disposizione per il suo spettacolo, e la sfrutterà appieno.
Il cantante Jay Buchanan, che inizialmente si presenta sul palco con un cappello vagamente amish (e non un cappello a cilindro, ovviamente), fornisce una prestazione tutta grinta e sudore. Anche se l'estensione vocale non è certo spettacolare, il timbro e il carattere fanno assolutamente la loro figura, permettendo al pubblico di entrare completamente nella giusta atmosfera. Nota dolente - a mio avviso - il chitarrista Scott Holiday, forse non particolarmente in serata, ma comunque molto impreciso. Tutto sommato la band offre però una prestazione solida e gradevole, con una tenuta del palco da gruppo di grande esperienza, e con brani come "Back in the Woods", "Jordan" e "Do Your Worst" che sono stati particolarmente apprezzati dal pubblico.
Slash
Nel frattempo l'auditorio si è riempito e circa 4'000 persone sono in trepidante attesa di una sola persona: quello strano ometto con tanti capelli e un cappello a cilindro, che sembra vivere perennemente con gli occhiali da sole. E quando questo leggendario personaggio sale sul palco, si entra semplicemente in un altro universo. I Conspirators e Myles Kennedy sono bravissimi, e nonostante questo si prestano umilmente a fare da base a Sua Maestà Slash: creano un tappeto sul quale l'istrionico musicista può danzare in libertà con la sua Gibson Les Paul.
Con una sola eccezione ("Nightrain") verranno eseguiti solamente pezzi delle produzioni soliste, cosa che mi ha fatto molto piacere, essendo tutti album validi. E poi, per sentire i pezzi dei Guns ci sono sicuramente altre occasioni. Le danze vengono aperte dalla adrenalinica "The Call of the Wild", anche se parlare di adrenalina è effettivamente superfluo, poiché tutto lo show sarà incentrato sulla pura energia. La cosa più bella è vedere quanto Slash si diverta, quanto sia intensa la sua passione per la chitarra, tanto che in più occasioni non riesce più a stare fermo e comincia a saltellare come un ragazzino al suo primo concerto.
I brani si susseguono uno dietro l'altro come missili sparati sul pubblico, si va da "Apocalyptic Love" a "My Antidote", da "Boulevard of Broken Hearts" a "Shadow Life", con Myles Kennedy che tiene il palco da grande cantante e intrattenitore. Spazio viene però lasciato anche agli altri membri presenti sul palco, ed in particolare al bassista canadese Todd Kerns a cui viene affidato il microfono. Con i suoi lunghi capelli neri e il suo atteggiamento un po' da spaccone, lancia sul pubblico due bordate micidiali come "We're all gonna Die" e "Doctor Alibi", in origine cantata dal compianto Lemmy, divertendo non poco i presenti.
Uno dei momenti più intensi dello spettacolo si tocca in coda al brano "Wicked Stone", quando Slash sfodera un assolo della durata stimata di quindici (15!) minuti. E sapete qual è la cosa divertente? In quel quarto d'ora non mi sono annoiato nemmeno per un istante: quando sembra che l'assolo stia per terminare, il chitarrista semplicemente aggiunge una marcia in più, poi ancora una, e poi un'altra ancora, fino a raggiungere livelli semplicemente indescrivibili. E al pubblico non rimane che stare lì, ad osservarlo con la bocca aperta e la pelle d'oca.
Dopo "Starlight", uno dei pochi momenti calmi del concerto, è ora del gran finale, affidato a "World On Fire", "Avalon" - tra l'altro due dei miei brani preferiti - e ovviamente l'emozionante "Anastasia", cantata da buona parte dei presenti e condita dall'immancabile difficilissimo e coinvolgente assolo, l'ultimo di una serata che ha davvero qualcosa di speciale, in equilibrio fra miti, leggende e solide realtà.
Rival Sons
Per aprire le danze del suo concerto Slash ha trovato un gruppo di tutto rispetto e già con un discreto seguito: i Rival Sons. I quattro ragazzi di Long Beach, con il loro Rock dalle forti influenze Blues e distorsioni di chitarra come se piovessero, riescono a scaldare il composto pubblico del Festival. Il quartetto riceve una generosa ora e un quarto a disposizione per il suo spettacolo, e la sfrutterà appieno.
Il cantante Jay Buchanan, che inizialmente si presenta sul palco con un cappello vagamente amish (e non un cappello a cilindro, ovviamente), fornisce una prestazione tutta grinta e sudore. Anche se l'estensione vocale non è certo spettacolare, il timbro e il carattere fanno assolutamente la loro figura, permettendo al pubblico di entrare completamente nella giusta atmosfera. Nota dolente - a mio avviso - il chitarrista Scott Holiday, forse non particolarmente in serata, ma comunque molto impreciso. Tutto sommato la band offre però una prestazione solida e gradevole, con una tenuta del palco da gruppo di grande esperienza, e con brani come "Back in the Woods", "Jordan" e "Do Your Worst" che sono stati particolarmente apprezzati dal pubblico.
Slash
Nel frattempo l'auditorio si è riempito e circa 4'000 persone sono in trepidante attesa di una sola persona: quello strano ometto con tanti capelli e un cappello a cilindro, che sembra vivere perennemente con gli occhiali da sole. E quando questo leggendario personaggio sale sul palco, si entra semplicemente in un altro universo. I Conspirators e Myles Kennedy sono bravissimi, e nonostante questo si prestano umilmente a fare da base a Sua Maestà Slash: creano un tappeto sul quale l'istrionico musicista può danzare in libertà con la sua Gibson Les Paul.
Con una sola eccezione ("Nightrain") verranno eseguiti solamente pezzi delle produzioni soliste, cosa che mi ha fatto molto piacere, essendo tutti album validi. E poi, per sentire i pezzi dei Guns ci sono sicuramente altre occasioni. Le danze vengono aperte dalla adrenalinica "The Call of the Wild", anche se parlare di adrenalina è effettivamente superfluo, poiché tutto lo show sarà incentrato sulla pura energia. La cosa più bella è vedere quanto Slash si diverta, quanto sia intensa la sua passione per la chitarra, tanto che in più occasioni non riesce più a stare fermo e comincia a saltellare come un ragazzino al suo primo concerto.
I brani si susseguono uno dietro l'altro come missili sparati sul pubblico, si va da "Apocalyptic Love" a "My Antidote", da "Boulevard of Broken Hearts" a "Shadow Life", con Myles Kennedy che tiene il palco da grande cantante e intrattenitore. Spazio viene però lasciato anche agli altri membri presenti sul palco, ed in particolare al bassista canadese Todd Kerns a cui viene affidato il microfono. Con i suoi lunghi capelli neri e il suo atteggiamento un po' da spaccone, lancia sul pubblico due bordate micidiali come "We're all gonna Die" e "Doctor Alibi", in origine cantata dal compianto Lemmy, divertendo non poco i presenti.
Uno dei momenti più intensi dello spettacolo si tocca in coda al brano "Wicked Stone", quando Slash sfodera un assolo della durata stimata di quindici (15!) minuti. E sapete qual è la cosa divertente? In quel quarto d'ora non mi sono annoiato nemmeno per un istante: quando sembra che l'assolo stia per terminare, il chitarrista semplicemente aggiunge una marcia in più, poi ancora una, e poi un'altra ancora, fino a raggiungere livelli semplicemente indescrivibili. E al pubblico non rimane che stare lì, ad osservarlo con la bocca aperta e la pelle d'oca.
Dopo "Starlight", uno dei pochi momenti calmi del concerto, è ora del gran finale, affidato a "World On Fire", "Avalon" - tra l'altro due dei miei brani preferiti - e ovviamente l'emozionante "Anastasia", cantata da buona parte dei presenti e condita dall'immancabile difficilissimo e coinvolgente assolo, l'ultimo di una serata che ha davvero qualcosa di speciale, in equilibrio fra miti, leggende e solide realtà.
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