Il tempo passa inesorabile e le conseguenze si vedono. Vale per tutti noi, non importa se giornalisti, muratori, camerieri o rock star. Lo stanno vivendo sulla loro pelle i grandissimi Judas Priest, con lo storico chitarrista Glenn Tipton costretto a fermarsi a causa dell'avanzare del morbo di Parkinson. Di fronte a questi sconfortanti avvenimenti ci si chiede sempre più di frequente quando la loro avventura - e quella di altri gruppi che hanno fatto la storia del Metal - finirà.
Nel frattempo però, Halford e compagni si ripresentano con un album semplicemente sensazionale, che con un deciso colpo di spugna cancella ogni dubbio sulla loro tenuta e sulla loro freschezza artistica. FIREPOWER (rigorosamente scritto tutto in maiuscolo, perché fa più figo) è semplicemente l'album più bello composto negli anni più recenti dalla band di Birmingham.
L'inizio del disco è uno dei più intensi che io ricordi, con quattro pezzi uno più bello dell'altro sparati a raffica come se nulla fosse. Si parte con la title-track, classico brano d'apertura lanciato a mille all'ora e tamarro al punto giusto. Arriva poi, con il suo incedere che ricorda l'avanzata di un minaccioso esercito e un arioso ritornello, "Lightning Strike", seguita da "Evil Never Dies", che lascia spazio al lato più malefico del gruppo. Più "aperta" e vicina allo stile di un grande inno invece "Never the Heroes".
A farla da padrone sono le linee vocali scelte da Halford, molto più ispirate che negli ultimi lavori e che sembrano volare fra un roccioso riff di chitarra e l'altro, donando un emozionante tono epico alle canzoni, con un'ambientazione che in molti passaggi mi ha ricordato quella del mitico "Painkiller". Certo, come ormai sappiamo da anni, gli acuti micidiali non ci sono più, ma il carisma e la timbrica vocale del buon Rob sono un puro godimento. La produzione tra l'altro è fantastica, grazie fra le altre cose allo zampino di Andy Sneap, che sul palco sostituirà anche Titpon.
L'album non è comunque perfetto e un paio di pezzi risultano sottotono, come ad esempio "Children of the Sun", ma nella maggioranza dei casi le composizioni sono assolutamente riuscite. In particolare verso la parte finale del disco i Priest piazzano una serie di brani semplicemente stupendi: "Flame Thrower" pesca nuovamente dal lato più tamarro e caricaturale del gruppo, per poi lasciare spazio alla inquietante e minacciosa "Spectre" e alla adrenalinica "Traitors Gate". Sublime ed epica è poi la breve (ma intensa) "No Surrender", seguita dalla rocciosa e cadenzata "Lone Wolf", che sfodera anche un notevole ritornello.
È vero, il tempo passa inesorabile per tutti noi, ma finché sono in giro e a questi livelli, godiamoci i Judas Priest.
VOTO: 8,5/10
Nel frattempo però, Halford e compagni si ripresentano con un album semplicemente sensazionale, che con un deciso colpo di spugna cancella ogni dubbio sulla loro tenuta e sulla loro freschezza artistica. FIREPOWER (rigorosamente scritto tutto in maiuscolo, perché fa più figo) è semplicemente l'album più bello composto negli anni più recenti dalla band di Birmingham.
L'inizio del disco è uno dei più intensi che io ricordi, con quattro pezzi uno più bello dell'altro sparati a raffica come se nulla fosse. Si parte con la title-track, classico brano d'apertura lanciato a mille all'ora e tamarro al punto giusto. Arriva poi, con il suo incedere che ricorda l'avanzata di un minaccioso esercito e un arioso ritornello, "Lightning Strike", seguita da "Evil Never Dies", che lascia spazio al lato più malefico del gruppo. Più "aperta" e vicina allo stile di un grande inno invece "Never the Heroes".
A farla da padrone sono le linee vocali scelte da Halford, molto più ispirate che negli ultimi lavori e che sembrano volare fra un roccioso riff di chitarra e l'altro, donando un emozionante tono epico alle canzoni, con un'ambientazione che in molti passaggi mi ha ricordato quella del mitico "Painkiller". Certo, come ormai sappiamo da anni, gli acuti micidiali non ci sono più, ma il carisma e la timbrica vocale del buon Rob sono un puro godimento. La produzione tra l'altro è fantastica, grazie fra le altre cose allo zampino di Andy Sneap, che sul palco sostituirà anche Titpon.
L'album non è comunque perfetto e un paio di pezzi risultano sottotono, come ad esempio "Children of the Sun", ma nella maggioranza dei casi le composizioni sono assolutamente riuscite. In particolare verso la parte finale del disco i Priest piazzano una serie di brani semplicemente stupendi: "Flame Thrower" pesca nuovamente dal lato più tamarro e caricaturale del gruppo, per poi lasciare spazio alla inquietante e minacciosa "Spectre" e alla adrenalinica "Traitors Gate". Sublime ed epica è poi la breve (ma intensa) "No Surrender", seguita dalla rocciosa e cadenzata "Lone Wolf", che sfodera anche un notevole ritornello.
È vero, il tempo passa inesorabile per tutti noi, ma finché sono in giro e a questi livelli, godiamoci i Judas Priest.
VOTO: 8,5/10
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