Phil Campbell è stato e sempre rimarrà il chitarrista dei Motörhead. Il destino ha voluto che assieme a Lemmy scrivesse paginate di storia del Rock e il suo nome verrà sempre accostato a quel periodo. Ora che persino la band più rumorosa del mondo è giunta ad una triste fine, non bisogna però certo smettere di vivere o di fare musica. Proprio per questo motivo, il fatto che un personaggio simpatico come Phil sia subito rimontato in sella non può che renderci felici.
Cosa c'è poi di meglio se non tornare sul palco come una grande famiglia? Già, perché il nome della band non è assolutamente casuale e i tre musicisti che accompagnano il leggendario chitarrista sono anche i suoi figli. L'unico elemento esterno è quindi il cantante Neil Starr.
Ma veniamo a noi: cosa ci regala questo "The Age Of Absurdity"? Beh, sicuramente ci regala emozioni miste, soprattutto al primo ascolto. In alcune parti il riffing del buon Phil è semplicemente inconfondibile, con il suo incedere deciso e roboante, quasi sismico, ma proprio quando ci si aspetta di sentire la roca voce di Lemmy, tutto cambia, e il gruppo dimostra (giustamente) una personalità tutta sua, con sonorità a tratti certamente più contemporanee rispetto ai Motörhead.
Inizialmente la sensazione è piuttosto spaesate, ma è un fatto dovuto semplicemente all'abitudine, perché in realtà la proposta della nuova creatura è accattivante e nel complesso assolutamente riuscita.
L'apertura è affidata all'energetica "Ringleader", con Campbell scatenato e il resto del gruppo che assolutamente non sfigura. Neil Starr fa un buon lavoro ed ha una voce piuttosto riconoscibile, anche se personalmente trovo il suo cantato un po' troppo "pulito", quando per un genere Hard and Heavy come quello che offrono i Bastard Sons forse sarebbe stata più azzeccata una voce maggiormente corrosa o incisiva.
Poco male però, i brani scorrono e alcune composizioni, come "Skin and Bones" o "Welcome to Hell", sono davvero belle e regalano scariche di adrenalina, sempre in un contesto di Rock sporco e cattivo. Come ci si poteva aspettare, non mancano nemmeno riferimenti al blues, come nel caso di "Dark Days", probabilmente la canzone più riuscita di tutto il disco. Notevole poi anche "Step Into The Fire".
Certo, ci sono anche un paio di canzoni meno riuscite o semplicemente non troppo rilevanti e non si può quindi certo parlare di miracolo o capolavoro. Si può però tranquillamente parlare di un album solido e di una nova realtà che, vista la presenza di Phil Campbell, non può che renderci felici.
VOTO: 7/10
Cosa c'è poi di meglio se non tornare sul palco come una grande famiglia? Già, perché il nome della band non è assolutamente casuale e i tre musicisti che accompagnano il leggendario chitarrista sono anche i suoi figli. L'unico elemento esterno è quindi il cantante Neil Starr.
Ma veniamo a noi: cosa ci regala questo "The Age Of Absurdity"? Beh, sicuramente ci regala emozioni miste, soprattutto al primo ascolto. In alcune parti il riffing del buon Phil è semplicemente inconfondibile, con il suo incedere deciso e roboante, quasi sismico, ma proprio quando ci si aspetta di sentire la roca voce di Lemmy, tutto cambia, e il gruppo dimostra (giustamente) una personalità tutta sua, con sonorità a tratti certamente più contemporanee rispetto ai Motörhead.
Inizialmente la sensazione è piuttosto spaesate, ma è un fatto dovuto semplicemente all'abitudine, perché in realtà la proposta della nuova creatura è accattivante e nel complesso assolutamente riuscita.
L'apertura è affidata all'energetica "Ringleader", con Campbell scatenato e il resto del gruppo che assolutamente non sfigura. Neil Starr fa un buon lavoro ed ha una voce piuttosto riconoscibile, anche se personalmente trovo il suo cantato un po' troppo "pulito", quando per un genere Hard and Heavy come quello che offrono i Bastard Sons forse sarebbe stata più azzeccata una voce maggiormente corrosa o incisiva.
Poco male però, i brani scorrono e alcune composizioni, come "Skin and Bones" o "Welcome to Hell", sono davvero belle e regalano scariche di adrenalina, sempre in un contesto di Rock sporco e cattivo. Come ci si poteva aspettare, non mancano nemmeno riferimenti al blues, come nel caso di "Dark Days", probabilmente la canzone più riuscita di tutto il disco. Notevole poi anche "Step Into The Fire".
Certo, ci sono anche un paio di canzoni meno riuscite o semplicemente non troppo rilevanti e non si può quindi certo parlare di miracolo o capolavoro. Si può però tranquillamente parlare di un album solido e di una nova realtà che, vista la presenza di Phil Campbell, non può che renderci felici.
VOTO: 7/10
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