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Metallica - Hardwired... to Self-Destruct

Vengono criticati, insultati e presi in giro: "Lars Ulrich potrebbe suonare al massimo una batteria di pentole", "Sono una multinazionale che pensa solo ai soldi, non una band", "James Hetfield non ha più la voce aggressiva di una volta"; in giro si sente veramente di tutto. Eppure, nonostante questo, la pubblicazione di un nuovo album dei Metallica continua a rimanere di gran lunga l'evento più atteso dell'anno nel panorama Metal, e non solo. Quando si ripresentano loro, si crea un hype che a confronto gli Iron Maiden sembrano una band di periferia con pochi seguaci. 
Questa volta poi - dando un po' ragione a chi li definisce una multinazionale - non hanno badato a spese, lanciando un'operazione pubblicitaria da far invidia alla campagna elettorale di Donald Trump. Ormai pienamente consci delle potenzialità di Internet, e anche del fatto che ormai gli album "fisici" vengono comprati solamente da qualche maniaco feticista come il sottoscritto, hanno deciso di creare un video per ognuna delle canzoni presenti sull'album (sì, avete capito bene), che poi sono stati distribuiti come briciole di pane su YouTube, con un ritmo sempre più frenetico man mano che la data di pubblicazione si avvicinava. Inutile dire che i fan erano in uno stato di estasi unito ad una frenetica e dolorosa attesa, una strategia geniale, non c'è che dire. 
Personalmente ho cercato di dare ascolti (e occhiate) solo distratti a questi video, preferendo gustarmi l'opera per intero. Eppure anche io sono caduto nella "trappola", sentendo qualche riff micidiale qua e là, o qualche passaggio particolarmente interessante, e finendo col gridare quasi già al miracolo prima ancora che il disco venisse pubblicato. 
Ma vogliamo parlare anche di musica? Certo, facciamolo. Anche perché, se è vero che scrivere una recensione dei Metallica risulta sempre un'operazione difficilissima per mille motivi diversi, è anche vero che questa volta è un po' più facile del solito. "Hardwired... to Self-Destruct" è infatti con grandissima probabilità la cosa migliore creata dai Four Horsemen dal "Black Album" a questa parte, che ricordo risale all'orami lontano 1991. 
L'album comincia con "Hardwired", singolo ormai noto già da qualche mese, una canzone semplice, potente, senza troppi fronzoli e soprattutto... corta! Cosa che ormai sembrava essere diventata una rarità. Non si tratta di un pezzo che rimarrà nella storia, ma senza dubbio lancia il lavoro con grandissima efficacia. 
Poi comincia veramente il bello, con "Atlas, rise!", che pur rimanendo diretta aumenta la complessità, con un Hetfield da brividi sul ritornello. È poi tempo della bellissima "Now That We're Dead", che sembra in qualche modo riprendere le ambientazioni del controverso "Load", ma migliorandole e portandole nel 2016. Anche "Moth Into Flame" è già nota da qualche tempo, e con il passare degli ascolti la sua aggressiva carica non fa che migliorare. 
Rispetto a "Death Magnetic", che risale ormai a otto anni fa, va sottolineato che che i brani riescono ad essere abbastanza complessi, senza però quell'effetto di "collage forzato" che aveva rovinato l'album del 2008. Un miglioramento davvero notevole, che permette ai brani di scorrere e anche di crescere. 
"Dream No More" è il primo passo falso del disco, semplicemente perché nel suo voler essere inquietante (specialmente nel ritornello) non riesce a raggiungere il carattere degli altri pezzi. Poco male però, perché subito dopo arriva la perla assoluta dell'album: "Halo On Fire", un brano più introspettivo e forse malinconico degli altri, ma che colpisce assolutamente il bersaglio con magistrali parti melodiche e un crescendo nel ritornello da brividi. 
Qui si conclude il primo album. Già, perché di doppio album (triplo nell'edizione deluxe) si tratta. E per fortuna anche il secondo disco rimane intenso quanto il primo. "Confusion", ispirata dalla sindrome post traumatica che colpisce i reduci di guerra, contiene uno dei riff più belli scritti dai 'tallica negli ultimi anni, "ManUNkind" ritorna sulle sonorità di Load (sempre migliorate) e "Here Comes Revenge" è un mid tempo dalla tensione altissima, probabilmente uno dei pezzi più riusciti, con tra l'altro uno dei video più geniali.
"Am I Savage?" è il secondo passo falso del disco, assolutamente insipida, mentre la granitica "Murder One" è un toccante omaggio allo scomparso Lemmy. In conclusione il quartetto piazza un colpo da maestro, una "Spit Out the Bone" che fa tornare la mente ai tempi d'oro del Thrash Metal: un pezzo veloce, esaltante, pesante... perfetto!
Concludendo, i Metallica hanno sfornato un (doppio) disco bellissimo. Non perfetto, ma bellissimo. Probabilmente se avessero accorciato qualche pezzo e avessero escluso i due brani meno riusciti, saremmo di fronte ad una vera e propria perla storica. Ma poco male, sono tornati e sono in piena forma, e questo fa sicuramente piacere a tutti gli amanti del genere.

VOTO: 8,5/10


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