Due orchestre sinfoniche e tre cori per registrare un album. Come se non fossero epici abbastanza, come se non avessero già dimostrato a più riprese di avere meravigliose melodie che scorrono nelle vene, i Blind Guardian hanno voluto esagerare. Se dopo l'album "At the Edge Of Time" e le continue voci su un progetto completamente orchestrale era lecito aspettarsi un approccio ancora più sinfonico, certo nessuno si aspettava l'estremizzazione presente sul nuovo "Beyond the Red Mirror".
I bardi hanno portato ad un livello superiore anche la complessità dei pezzi, togliendo in alcuni casi quasi ogni punto di riferimento e catapultando l'ascoltatore in un maestoso vortice, senza che abbia la possibilità di uscirne. In un certo senso viene ripreso quanto fatto con "Imaginations from the Other Side" - compresa la storia narrata -, magari con qualche accenno di "A Night at the Opera", il tutto portato però al 2015.
Certo, al primo ascolto, e probabilmente anche al secondo, la confusione regna sovrana: il cervello semplicemente non riesce ad elaborare tutti gli input che arrivano. Ma con lo scorrere del tempo le intricate composizioni cominciano a diventare famigliari, ed è a quel punto che si riesce a percepire la bellezza e la grandiosità del lavoro.
Ovviamente, per essere sicuri di mettere in chiaro le cose, i tedeschi hanno scelto come primo brano "The Ninth Wave", il pezzo più complicato e oscuro di tutto il disco, nove minuti di follia inizialmente difficilissimi da digerire, ma che riempiono di gioia sul lungo termine. Segue subito "Twilight of the Gods", che è anche il singolo dell'opera. Si tratta di una canzone più semplice delle altre, che richiama alla mente cose già sentite, senza però esaltare particolarmente.
Soffermarsi su ogni singolo brano, come spesso accade con i Blind Guardian, non è però facilissimo. In questo caso, visto il livello di elaborazione, risulta forse ancora più difficile. Personalmente sono rimasto affascinato dal duo "The Holy Grail"/"The Throne". Soprattutto la seconda è evocativa fino all'inverosimile e permette al sottofondo sinfonico di esprimersi in tutto il suo valore, raggiungendo momenti davvero magici.
Ovviamente protagonista è sempre la voce del buon Hansi Kürsch, che risulta particolarmente in forma e sfoggia la sua inconfondibile timbrica, che sembra fatta apposta per essere accompagnata da strumenti classici.
Il disco ha comunque dei difetti abbastanza evidenti. Prima di tutto, nonostante l'innegabile eleganza e complessità dei brani, nessuno di questi riesce veramente a spiccare sugli altri, quasi come se fossero talmente carichi di elementi da non riuscire poi ad esplodere. Forse in fin dei conti manca, almeno in alcuni frangenti, quella semplicità che rende davvero esplosivo un pezzo. In secondo luogo la produzione lascia alquanto a desiderare. Le chitarre spesso scompaiono come risucchiate dalle orchestre, ma il suono di queste ultime non è abbastanza "pompato" da colmare il vuoto, col risultato che si finisce solamente per percepire la potenza teorica delle composizioni.
Il disco termina poi con la calma ma bella "Miracle Machine" e la maestosa e lunga "Grand Parade" (come per la opener, oltre 9 minuti di musica) che con il suo incidere allegro dona la giusta conclusione ad un album bello, che con qualche dettaglio diverso avrebbe potuto raggiungere la perfezione.
I bardi hanno portato ad un livello superiore anche la complessità dei pezzi, togliendo in alcuni casi quasi ogni punto di riferimento e catapultando l'ascoltatore in un maestoso vortice, senza che abbia la possibilità di uscirne. In un certo senso viene ripreso quanto fatto con "Imaginations from the Other Side" - compresa la storia narrata -, magari con qualche accenno di "A Night at the Opera", il tutto portato però al 2015.
Certo, al primo ascolto, e probabilmente anche al secondo, la confusione regna sovrana: il cervello semplicemente non riesce ad elaborare tutti gli input che arrivano. Ma con lo scorrere del tempo le intricate composizioni cominciano a diventare famigliari, ed è a quel punto che si riesce a percepire la bellezza e la grandiosità del lavoro.
Ovviamente, per essere sicuri di mettere in chiaro le cose, i tedeschi hanno scelto come primo brano "The Ninth Wave", il pezzo più complicato e oscuro di tutto il disco, nove minuti di follia inizialmente difficilissimi da digerire, ma che riempiono di gioia sul lungo termine. Segue subito "Twilight of the Gods", che è anche il singolo dell'opera. Si tratta di una canzone più semplice delle altre, che richiama alla mente cose già sentite, senza però esaltare particolarmente.
Soffermarsi su ogni singolo brano, come spesso accade con i Blind Guardian, non è però facilissimo. In questo caso, visto il livello di elaborazione, risulta forse ancora più difficile. Personalmente sono rimasto affascinato dal duo "The Holy Grail"/"The Throne". Soprattutto la seconda è evocativa fino all'inverosimile e permette al sottofondo sinfonico di esprimersi in tutto il suo valore, raggiungendo momenti davvero magici.
Ovviamente protagonista è sempre la voce del buon Hansi Kürsch, che risulta particolarmente in forma e sfoggia la sua inconfondibile timbrica, che sembra fatta apposta per essere accompagnata da strumenti classici.
Il disco ha comunque dei difetti abbastanza evidenti. Prima di tutto, nonostante l'innegabile eleganza e complessità dei brani, nessuno di questi riesce veramente a spiccare sugli altri, quasi come se fossero talmente carichi di elementi da non riuscire poi ad esplodere. Forse in fin dei conti manca, almeno in alcuni frangenti, quella semplicità che rende davvero esplosivo un pezzo. In secondo luogo la produzione lascia alquanto a desiderare. Le chitarre spesso scompaiono come risucchiate dalle orchestre, ma il suono di queste ultime non è abbastanza "pompato" da colmare il vuoto, col risultato che si finisce solamente per percepire la potenza teorica delle composizioni.
Il disco termina poi con la calma ma bella "Miracle Machine" e la maestosa e lunga "Grand Parade" (come per la opener, oltre 9 minuti di musica) che con il suo incidere allegro dona la giusta conclusione ad un album bello, che con qualche dettaglio diverso avrebbe potuto raggiungere la perfezione.
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