Timo Tolkki
è uno di quei personaggi su cui si potrebbero scrivere libri interi. Il talentuoso
chitarrista è passato dall’essere il leader di una delle band più note del
panorama Metal europeo – per chi non lo sapesse, gli Stratovarius – allo sprofondare
in una crisi personale che lo ha spinto ai limiti della follia. Pian piano è
poi cominciata la risalita, con progetti di vario genere, fra cui la presente
opera “Avalon”, giunta al suo secondo capitolo.
Devo essere
onesto e confessarvi che non conosco la prima parte del lavoro, se non
per qualche video su youtube. Questo secondo album è però uno dei migliori esempi di come si possa
rovinare qualcosa di potenzialmente eccellente. Tutto comincia con un dolce
cantato di Fabio Lione, che introduce il primo vero e proprio brano, intitolato “Jerusalem
is Falling”. La melodia è ottima e si è subito pronti ad immergersi in un mondo
fatto di Metal sinfonico. Ma qualcosa non quadra.
I suoni
sono in qualche modo schiacciati e appiattiti e la chitarra dello stesso
Tolkki a volte sembra venire risucchiata da una misteriosa forza nascosta. Il cantato – pur affidando a maestri del settore
– è quasi troppo in evidenza e le orchestrazioni in sottofondo risultano a volte persino dozzinali. Un
vero peccato perché il senso del gusto al nostro chitarrista non è mai mancato,
e l’errore probabilmente sta nel fatto di essersi prodotto l’album da solo,
operazione che andava affidata alle mani di una persona ben più competente.
I brani
veloci, anche se in realtà validi, sono quindi praticamente tutti rovinati
da questo fastidioso suono, quando meriterebbero una produzione alla Blind
Guardian, tanto per fare il nome di un gruppo che non sbaglia un colpo in questo senso. A
salvare il lavoro sono i brani lenti, che non necessitano di particolare
potenza sonora, e che sono impreziositi dalla magnifica voce di Floor Jansen
(Nightwish), che in pezzi come “You’ll Bleed Forever” fa venire letteralmente i
brividi.
Fra le canzoni
“ritmate” sono da citare “Design the Century” e “Stargate Atlantis”, che riescono a
dare una certa continuità all’opera. Bene anche i nove minuti di “Angels of the
Apocalypse”. Imbarazzante invece la prestazione vocale di David DeFeis in “Rise
of the 4th Reich”, da latte alle ginocchia.
Il tutto
lascia un retrogusto amaro, perché le composizioni meritavano davvero qualcosa
di meglio. In qualche modo il progetto sembra in fase di abbandono, come
conferma anche un sito Internet aggiornato l’ultima volta circa sei mesi fa…
VOTO: 6-/10
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