In qualche
modo risulta strano trovarsi nel 2013 ed avere fra le mani un nuovo disco dei
Deep Purple, un gruppo talmente leggendario da superare l’immaginazione.
Eppure, bastano poche note e si capisce subito come la classe di artisti veri
non possa essere confinata all’interno di un determinato periodo storico, e che
la Musica, quella con la M maiuscola, non ha età e continua a vivere all’infinito.
E così, come dei moderni Beethoven,
Mozart o Bach muniti di chitarre elettriche e tastiera Hammond, i britannici
fanno ancora una volta irruzione nelle nostre case, con una freschezza e una
sicurezza compositiva da farci rimanere allibiti.
Riassumendo, basterebbe dire che la musica dei Deep Purple non passa mai di moda. Ma sarebbe semplicistico, in realtà bisognerebbe dire che la loro arte – come ogni altra forma elevata di arte – è fuori dal concetto di moda, è superiore agli effimeri trionfi di centinaia di cantanti da reality, non ha tempo e non ha spazio.
Riassumendo, basterebbe dire che la musica dei Deep Purple non passa mai di moda. Ma sarebbe semplicistico, in realtà bisognerebbe dire che la loro arte – come ogni altra forma elevata di arte – è fuori dal concetto di moda, è superiore agli effimeri trionfi di centinaia di cantanti da reality, non ha tempo e non ha spazio.
Certo, il grande
successo e la fama raggiunta dalla band nel corso dei decenni porta grandi
vantaggi, permettendo ai nostri di lavorare in tutta calma e senza pressione,
arrivando a pubblicare nuovo materiale solo nel momento in cui ne hanno voglia
o ne sentono la necessità, come hanno confermato loro stessi in diverse
interviste che si trovano online. Tutto questo influisce anche sulla
composizione dei brani, che appaiono in una veste magica, elegante, in una
forma in cui siamo sempre meno abituati a vederli (o sentirli).
Cosa hanno di speciale questi pezzi? Semplicemente sono stati scritti lasciandogli il tempo di crescere e maturare, senza forzare ritornelli o passaggi canticchiabili. Il risultato è quindi completo e meraviglioso, con un’alternanza di parti veloci, lente, adrenaliniche o tecniche, senza preoccuparsi di classifiche o vendite, ma lasciando parlare solo la musica. In pratica un ritorno allo stile dei grandi capolavori dei Deep Purple, come "Fireball" o "Machine Head".
Lo si capisce fin da subito, con il brano di apertura “A Simple Song”, che ci introduce al nuovo lavoro – intitolato “Now What?!” – con una calma quasi disarmante, accompagnandoci in un viaggio confortevole e sognante, per poi risvegliarci all’improvviso con un’accelerazione di chitarre e tastiera. Per godersi appieno il risultato dell’opera, suggerisco di mettersi comodi in poltrona, versarsi un bicchiere di Cognac, e mettersi delle buone cuffie alle orecchie.
A questo punto lasciatevi semplicemente andare e fatevi trasportare in un mondo fantastico. Sì perché un album del genere va ascoltato tutto, non saltate da un brano all’altro, ma godetevi la maestria di musicisti incredibili e la calda e piacevole voce di Ian Gillan.
Citare i singoli brani non avrebbe senso, e sarebbe quasi offensivo vista la qualità del disco nella sua interezza. Ma se proprio devo dire le mie preferite, sono rimasto particolarmente colpito da "Hell to Pay" (specialmente nella parte più strumentale) e dalla orrorifica e affascinante "Vincent Price", non a caso scelto dai britannici come singolo.
Cosa hanno di speciale questi pezzi? Semplicemente sono stati scritti lasciandogli il tempo di crescere e maturare, senza forzare ritornelli o passaggi canticchiabili. Il risultato è quindi completo e meraviglioso, con un’alternanza di parti veloci, lente, adrenaliniche o tecniche, senza preoccuparsi di classifiche o vendite, ma lasciando parlare solo la musica. In pratica un ritorno allo stile dei grandi capolavori dei Deep Purple, come "Fireball" o "Machine Head".
Lo si capisce fin da subito, con il brano di apertura “A Simple Song”, che ci introduce al nuovo lavoro – intitolato “Now What?!” – con una calma quasi disarmante, accompagnandoci in un viaggio confortevole e sognante, per poi risvegliarci all’improvviso con un’accelerazione di chitarre e tastiera. Per godersi appieno il risultato dell’opera, suggerisco di mettersi comodi in poltrona, versarsi un bicchiere di Cognac, e mettersi delle buone cuffie alle orecchie.
A questo punto lasciatevi semplicemente andare e fatevi trasportare in un mondo fantastico. Sì perché un album del genere va ascoltato tutto, non saltate da un brano all’altro, ma godetevi la maestria di musicisti incredibili e la calda e piacevole voce di Ian Gillan.
Citare i singoli brani non avrebbe senso, e sarebbe quasi offensivo vista la qualità del disco nella sua interezza. Ma se proprio devo dire le mie preferite, sono rimasto particolarmente colpito da "Hell to Pay" (specialmente nella parte più strumentale) e dalla orrorifica e affascinante "Vincent Price", non a caso scelto dai britannici come singolo.
VOTO: 9/10
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