Quando si creano aspettative
enormi per un album la situazione diventa pericolosa. Per fare felici i fan
è infatti necessario realizzare un autentico capolavoro, altrimenti in molti
rimarrebbero delusi. La cosa è ancora più vera se sono passati ormai dieci anni
dall’ultimo disco pubblicato.
Questa è esattamente la situazione in cui si sono
trovati i Rammstein, che a una decade di distanza da “Liebe ist für alle da” si
ripresentano prepotentemente sul mercato, con un avvicinamento alla data di
pubblicazione dell'album - senza nome, spesso chiamato semplicemente "Rammstein" - giocato d’astuzia e che ha creato un “hype” che non si vedeva da
tempo nel mondo del Metal.
Il singolo “Deutschland”, con il suo video epico dalla
qualità hollywoodiana, ha da subito fatto sperare in un album maestoso e
granitico, come solo la band tedesca è in grado di fare. In questa canzone la
voce di Till Lindemann, che risuona minacciosa ripercorrendo la storia della
Germania, non può non far venire i brividi. Tuttavia, già dal singolo
successivo “Radio”, qualcosa sembrava non quadrare del tutto.
Questa sensazione purtroppo si ripercuote anche su
tutto l’album, che proprio come il secondo singolo lascia trasparire una
curiosa mancanza di potenza e aggressività. Le chitarre, solitamente vero e
proprio muro sonoro, finisco spesso in secondo piano, lasciano spazio a una
componente più melodica, oserei dire radiofonica.
Una volta superato questo effetto spiazzante il disco
risulta comunque gradevole. Ci sono come sempre brani più divertenti, come “Ausländer”,
che vede il buon Till lanciarsi in frasi come “Mi amor, mon chéri, ciao
ragazza, take a chance on me”. Non manca nemmeno la ballata, tra l’altro
molto bella – anche se molto corta – dal titolo “Diamant”. I brani più classici
in pieno stile Rammstein, come “Zeig Dich” o “Was Ich Liebe” non sono certo
male, ma stentano a decollare proprio a causa della già citata produzione più
ovattata del solito. Fra le cose più positive del disco ci sono sicuramente gli
inserti di tastiera del buon Christian Lorenz, più presenti rispetto all’ultimo
lavoro e decisamente coinvolgenti, come in “Deutschland” o in “Ausländer”.
Ma c’è poco da fare, la band tedesca dà il meglio di sé
quando le cose si fanno inquietanti, ed è così “Puppe” a diventare il brano più
bello del disco, e forse uno dei più belli composti dal gruppo in assoluto: un
sinistro passaggio di chitarra crea una prima parte piuttosto calma - anche se
da brividi e con un raccapricciante testo su una bambina obbligata a
prostituirsi – per poi lasciare spazio a un ritornello a dir poco straziante, con
Lindemann che urla, in un incrocio fra canto e recitazione, in una maniera che
semplicemente non può lasciare indifferenti.
Anche la conclusiva “Hallomann” cerca di giocare sulle
stesse tonalità, anche se in questo caso le melodie decisamente più ariose
utilizzate rendono meno inquietante il pezzo, comunque piuttosto riuscito. Si
arriva così alla conclusione di un lavoro che non manca certo di qualità, ma
che senza dubbio delude dal punto di vista della violenza e della brutalità.
VOTO: 7/10
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