Gli Stryper sono un gruppo tranquillamente definibile come storico. Siccome però il loro successo è soprattuto legato al passato e fortemente ancorato negli Stati Uniti, è giusto fare una piccola descrizione.
Siamo di fronte ad una band che negli anni '80 è riuscita ad accaparrarsi un paio di dischi d'oro e uno di platino, suonando un Heavy Metal di stampo piuttosto classico, con influenze molto melodiche tipiche dell'Hair Metal che spopolava in quegli anni. La particolarità è però quella di essere forse stato il primo gruppo Metal a proporre tematiche Cristiane, tanto da dare vita al (forse poco noto) filone Christian Metal.
La cosa paradossale è che il loro nuovo album "God Damn Evil" è stato censurato in un noto grande magazzino americano poiché il titolo, giudicato ambiguo, avrebbe potuto urtare la sensibilità dei clienti. Gli Stati Uniti non smettono davvero mai di stupirci...
Musicalmente il disco è esattamente quello che ci si potrebbe aspettare: Heavy Metal piuttosto semplice che nonostante gli sforzi di creare un'ambientazione contemporanea trasuda anni '80 da ogni poro. Anche le pecche sono però quello che si potrebbe attendere: il tutto manca di originalità e solo una manciata di brani risulta veramente valida, mentre la presenza di filler è notevole. Il tutto in un album della durata già non lunghissima di 45 minuti scarsi.
Peccato, perché i californiani iniziano davvero col piede giusto, con un'opener - "Take it to the Cross" - coinvolgente e martellante, che propone un ritornello che oserei dire... isterico, ma dannatamente efficace. Uno dei punti forti è sicuramente il cantante Michael Sweet, una sorta di Joey Tempest più Metal e con la capacità di sfoderare acuti Halfordiani. A tratti davvero spettacolare.
Anche altri brani sono convincenti: la title-track ad esempio è un roccioso pezzo dal ritornello che vi si stamperà in testa, risultato che viene ottenuto anche dalla più melensa "Sorry". Così come l'inizio del disco, anche il finale è da urlo, con la aggressiva "The Devil doesn't live Here". Pezzo bellissimo, anche se è effettivamente strano sentire inneggiare a Gesù in una bordata puramente metallara.
Per il resto troviamo canzoni che non si possono dire brutte, ma scritte con una certa furbizia e tanto mestiere. Brani come "Sea of Thieves" o "The Valley" sicuramente funzionano, ma non portano niente che non sia già stato detto.
VOTO: 6+/10
Siamo di fronte ad una band che negli anni '80 è riuscita ad accaparrarsi un paio di dischi d'oro e uno di platino, suonando un Heavy Metal di stampo piuttosto classico, con influenze molto melodiche tipiche dell'Hair Metal che spopolava in quegli anni. La particolarità è però quella di essere forse stato il primo gruppo Metal a proporre tematiche Cristiane, tanto da dare vita al (forse poco noto) filone Christian Metal.
La cosa paradossale è che il loro nuovo album "God Damn Evil" è stato censurato in un noto grande magazzino americano poiché il titolo, giudicato ambiguo, avrebbe potuto urtare la sensibilità dei clienti. Gli Stati Uniti non smettono davvero mai di stupirci...
Musicalmente il disco è esattamente quello che ci si potrebbe aspettare: Heavy Metal piuttosto semplice che nonostante gli sforzi di creare un'ambientazione contemporanea trasuda anni '80 da ogni poro. Anche le pecche sono però quello che si potrebbe attendere: il tutto manca di originalità e solo una manciata di brani risulta veramente valida, mentre la presenza di filler è notevole. Il tutto in un album della durata già non lunghissima di 45 minuti scarsi.
Peccato, perché i californiani iniziano davvero col piede giusto, con un'opener - "Take it to the Cross" - coinvolgente e martellante, che propone un ritornello che oserei dire... isterico, ma dannatamente efficace. Uno dei punti forti è sicuramente il cantante Michael Sweet, una sorta di Joey Tempest più Metal e con la capacità di sfoderare acuti Halfordiani. A tratti davvero spettacolare.
Anche altri brani sono convincenti: la title-track ad esempio è un roccioso pezzo dal ritornello che vi si stamperà in testa, risultato che viene ottenuto anche dalla più melensa "Sorry". Così come l'inizio del disco, anche il finale è da urlo, con la aggressiva "The Devil doesn't live Here". Pezzo bellissimo, anche se è effettivamente strano sentire inneggiare a Gesù in una bordata puramente metallara.
Per il resto troviamo canzoni che non si possono dire brutte, ma scritte con una certa furbizia e tanto mestiere. Brani come "Sea of Thieves" o "The Valley" sicuramente funzionano, ma non portano niente che non sia già stato detto.
VOTO: 6+/10
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