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Black Sabbath - 13

In recenti dichiarazioni Ozzy Osbourne ha affermato di non identificarsi totalmente nella parola "Metal", e questo è comprensibile, visto che la sua carriera in fondo è cominciata con una sorta di blues appesantito e distorto fino all'estremo. Quel che però è certo è che i Black Sabbath sono stai il gruppo - o come minimo uno dei gruppi - che il Metal lo ha letteralmente inventato. 
Ora, proprio il nostro caro Ozzy torna all'ovile, e si riunisce ai Sabbath per un nuovo album in studio, cosa che non accadeva dal lontano 1978 con "Never Say Die!". Certo, nel frattempo la band ha preso altre forme, con al microfono fra gli altri il compianto Ronnie James Dio, ma l'origine di tutto, la vera essenza di questo gruppo, non può che essere riportata alla luce con la voce del principe delle tenebre, per quanto quest'ultimo possa essere debilitato da anni di eccessi e acciachi vari.
La nuova opera prende un nome semplice, lapidare: "13". È attesissima e mentre scrivo questa recensione già sappiamo che ha raggiunto - complice una potente campagna di marketing, con tanto di apparizioni in telefilm - la TOP10 di praticamente ogni classifica mondiale, con i primi posti in Paesi come gli Stati Uniti, la Germania e ovviamente il Regno Unito.
Difficile, se non impossibile, valutare l'album senza venire travolti dalla componente nostalgicha. Le note che inondano la stanza  ci fanno subito riconoscere la grande band che ha fatto la storia, con un'andatura lenta, cadenzata e pesante, melodie oscure e un'attitudine che si potrebbe definire funebre. 
In tutto questo svetta la chitarra di Tony Iommi che, mentre fra le altre cose combatte contro un linfoma, compone riff magistrali, da far venire i brividi, e si lancia in assoli talmente belli da far venire le lacrime agli occhi. 
I primi due pezzi del disco "End of the Beginning" e "God is Dead?" - che sommate arrivano al notevole totale di quasi 17 minuti - riassumono tutto quello che ho scritto fino a questo momento, risultando i brani di gran lunga più belli e completi del lavoro.
Tutto perfetto quindi? Non proprio. "13", pur rimanendo un bellissimo disco fino in fondo, non può essere paragonato con i primi lavori della band. Questo perché vengono sì ricreate le ambientazioni del passato, ma senza quell'anima maligna fino al midollo che ha contraddistinto i primi lavori. In alcuni passaggi i quattro lavorano di furbizia ed esperienza, ricalcano idee di un tempo lontano e le reinterpretano in chiave moderna. Un esempio su tutti è "Zeitgeist", un brano piacevole ma che ricorda fortemente "Planet Caravan", senza tuttavia raggiungere gli stessi livelli di intensità e psichedelia.
Ozzy offre una prestazione più che dignitosa, senza cercare passaggi difficili, ma ogni tanto cade nel cantato più "melodico" classico della sua carriera solista, e in qualche modo fuori luogo nell'ambito dei Black Sabbath.
Nonostante tutti questi piccoli difetti, l'album emoziona profondamente e colpisce l'ascoltatore, anche con frasi che evocano la situazione del gruppo stesso, come in "Live Forever", quando il buon Ozzy canta "I don't wanna live forever, but I don't Want to Die...".
La cosa più importante è che i Black Sabbath sono tornati e che ci hanno offerto ancora una volta buona musica, e chi è così fortunato da poterlo fare, vada a vederseli dal vivo.

VOTO: 8/10


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